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Con la resistenza Palestinese nel cuore, contro il genocidio sionista

Non ci sono più parole. Siamo di fronte al piano esplicito, formale, dichiarato, di soluzione finale della questione palestinese. Dopo 19 mesi di violenza genocida ed ecocida contro gli abitanti e la terra di Gaza, il Gabinetto di guerra israeliano ha approvato il piano di invasione del 90% della Striscia. Si chiama «Operazione Carri di Gedeone».

Più di due milioni di palestinesi verrebbero sfollati a forza e rinchiusi nel restante 10%, un territorio grande come una città di quarantamila abitanti. Intanto continua il blocco di cibo e acqua, con immagini strazianti di bambini scheletrici che si aggirano tra cumuli di macerie. Alla morte o deportazione dei gazawi si aggiunge l’intento esplicito di annettere la Cisgiordania, cioè di realizzare il «Grande Israele» senza più tracce del popolo palestinese. Il tutto con la complicità dell’intero Occidente (governo italiano compreso). Il parlamentare del Likud (lo stesso partito di Netanyahu) Moshe Saada ha proclamato sull’emittente televisiva Canale 14: «Sì, farò morire di fame gli abitanti di Gaza, sì, questo è un nostro dovere». Queste, invece, le parole del dissidente israeliano Gideon Levy: «Non esiste più “permesso” e “proibito” riguardo alla malvagità di Israele nei confronti dei palestinesi. È permesso uccidere decine di prigionieri e far morire di fame un intero popolo. Un tempo ci vergognavamo di tali azioni; la perdita della vergogna sta ora smantellando ogni barriera rimanente».Di fronte a un tale orrore che si compie in diretta, continuare la nostra vita quotidiana come se nulla fosse ci è semplicemente insopportabile. E sappiamo di essere in tanti a provare un sentimento simile di angoscia, di impotenza, di rabbia.

Per questo lanciamo un momento in un cui trovarci collettivamente per leggere riflessioni, appelli, poesie e altre testimonianze da Gaza.

Per rompere l’indifferenza e tirare fuori dalle macerie i nostri cuori e la nostra umanità. Insieme.

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La via crucis di ognigiorno: il carcere

Venerdì 18 aprile, dalle 18 ne discutiamo con Charlie Barnao.

Parlare di carcere in Sicilia significa rompere una separazione che è innanzitutto interiore (e interiorizzata): quelle mura non nascondono alla vista solo i corpi dei nostri simili, nascondono a noi stessi la coscienza della nostra storia collettiva. La presenza del carcere per molti/e siciliani/e, e meridionali e per i poveri di ogni dove, è una costante che puntella tanto i momenti di “pace sociale” quanto quelli di conflittualità. Se la finzione riesce a giustificare il “carcere duro ma giusto” perché contro i mafiosi, è perché recide i legami tra storia e memoria. Così, non ricordiamo che quello che siamo oggi affonda le sue radici nel forte di Fenestrelle, dove vennero deportati e morirono migliaia di cosiddetti briganti e nemici interni meridionali, razzistizzati e torturati. Ieri i briganti, oggi i mafiosi, il carcere di guerra rimane a monito per tutti/e. E funziona: è la paura del carcere che fa accettare paghe da 3 euro l’ora; che fa emigrare senza colpo ferire; che scoraggia la partenza di quelle lotte di cui c’è sempre più urgente bisogno.
Ecco perché parlare di un parente così scomodo, perché la parola con la sua scintilla rischiari la possibilità della coscienza e dell’azione conseguente. 

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Non dormire, vieni alla jam session di aprile ad Alavò!

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Perdenti per sempre? Perfetti per oggi!

Perdenti per sempre? Perfetti per oggi!
Quando si parla di spazio si tralascia spesso di dire della sua sorella nascosta, il tempo o, meglio, dell’esperienza del tempo che in uno spazio si fa. Uno spazio in cui si sta bene è quello in cui l’esperienza del tempo – io con gli altri, io con una versione più carica di me stessa/o – assume una intensità che crea una differenza: tra il “qui” e il “fuori”, tra l”appena trascorso” e la “routine”. Sono i momenti in cui non ci si cura del “per sempre” e di altri ingombri, e si dilata la presenza, le presenze.
L’appena trascorso di alavò, e di chi ha deciso il coraggio di attraversarne la soglia, è una due giorni sulla terra, sul nostro rapporto prezioso e precario con questa madre comune. La prima occasione è stata un pomeriggio di meraviglia con Michele Piccione, la sua generosità, il suo genio e, ultima non ultima, la sua umiltà (una dote rara tra artisti, unica per quelli del suo calibro): il viaggio del mondo in 100 minuti tra strumenti che la storia delle umanità ha prodotto, in particolare quella di popoli storicamente oppressi, ci ha ricordato una bella frase di Jean Giono su una qualità degli umani: di saper uguagliare, talvolta, la potenza del divino non solo nella capacità di distruzione.
Il secondo giorno, sabato 22, è stato dedicato ad una pratica vecchia quanto il mondo dell’agricoltura: uno scambio di semi antichi (di orticole, di fiori, di officinali) tra persone che non hanno voglia di lasciare la terra, che coltivano nel rapporto con essa una volontà di autonomia e libertà che come sempre cozza con gli interessi di chi vuole il predominio su tutto il vivente. Si è parlato dei nuovi ogm, della necessità e difficoltà di contrastarli e contrastare la visione che ne è alla base; dei legami finanziari e di ricerca scientifica tra queste tecniche e i signori della guerra; del farsi totalitario dello sfruttamento. Se la terra è la madre, matrigna è il comparto scientifico-industriale- militare che, propagandando l’agricoltura 4.0, inquina i cervelli ancora prima che i corpi e i territori: ecoterrorista non è chi devasta la biosfera con i suoi ogm e i ponti sullo stretto, con il nucleare e le sue guerre al fosforo, è chi resiste e agisce in prima persona contro questa devastazione.
In un mondo così “bombardato”, chiunque dissente (sente in maniera diversa) è pazzo o criminale o entrambe le cose: scoria da rinchiudere, da neutralizzare, con galera od ospedale, col manganello o con gli psicofarmaci. Ma un simile ribaltamento si può propagare solo in un sociale trasformato in un formicaio di uomini soli. Per questo il valore della solidarietà, dell’autorganizzazione: per pensare bene occore respirare insieme.
Allora, è per continuare a tessere il mosaico delle rotte che contano che incontreremo il 30 marzo Stefania Consigliere e il 18 aprile Charlie Barnao; con la prima parleremo del malessere e di possibili piste per uscirne, col secondo dell’ostacolo principale a vederne le cause sociali: il carcere, una discarica sociale utile alla guerra totale.
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Equinozio di terra: 21/22 marzo ad alavò

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Cine/cena con Dead Man

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Programma marzo/aprile

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15 Febbraio. Laboratori di incisione a punta secca

Perché comprare oggetti d’arte quando li si può fare?
Un altro laboratorio ad Alavò! Chiunque voglia sperimentare questa particolare e antica tecnica d’illustrazione chiami o scriva per dare conferma della propria partecipazione.
Vi aspettiamo

 

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21 Dicembre – Laboratorio di musica elettronica e non solo

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11 Dicembre – Mangiamoci un film: “La donna elettrica” + cena buonissima